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Contributo del Fronte Comunista alla riunione dell’Azione Comunista Europea del 28 settembre 2025

di Fronte Comunista
16/10/2025
in Estero
Home Estero

Cari compagni,

innanzitutto desidero rivolgere un caloroso saluto, da parte dei militanti del Fronte Comunista d’Italia, ai partiti fratelli che partecipano a questo incontro, per la cui organizzazione ringraziamo il Partito Comunista di Turchia.

L’intera storia del capitalismo è una storia di sfruttamento, crimini, violenza, guerre e, talvolta, genocidi — dal processo di accumulazione originaria alla schiavitù, dal colonialismo alla barbarie fascista e alle due Guerre Mondiali. Il ruolo progressivo che il capitalismo ha svolto, nella misura in cui favoriva lo sviluppo delle forze produttive, è oggi completamente esaurito, e il capitalismo, nella sua fase terminale imperialista, è divenuto un ostacolo allo sviluppo delle forze produttive — se non addirittura un fattore diretto della loro distruzione. Questa contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione è la causa scatenante delle crisi economiche in corso e delle guerre sempre più diffuse. La crisi di sovraccumulazione assoluta di capitale, dalla quale il mondo capitalistico non riesce a uscire — nonostante brevi fasi di debole ripresa — colpisce tutti i Paesi in misura più o meno grave, anche quelli con economie più dinamiche, sotto forma di crescita rallentata e inflazione crescente. La stagflazione tende ormai a divenire una tendenza di lungo periodo, con il rischio concreto che nell’UE la stagnazione degeneri in recessione. In effetti, il centro della produzione della ricchezza mondiale si è spostato irreversibilmente dall’asse euro-atlantico occidentale a quello euro-asiatico orientale. Il declino dell’ordine mondiale dominato dal capitalismo euro-atlantico a guida statunitense trova il suo riscontro nell’ascesa di nuove potenze capitalistiche emergenti, che reclamano una nuova spartizione del mondo sotto la parola d’ordine della “multipolarità”. L’effetto combinato della crisi generale del capitalismo e dei mutamenti nei rapporti economici e politici di forza sta intensificando la competizione interimperialista anche all’interno dei blocchi in cui tendono a polarizzarsi gli Stati capitalistici, dando luogo a una feroce lotta per l’egemonia nel sistema capitalistico mondiale, o almeno per una posizione più favorevole nella piramide imperialista. Il dominio economico e politico attraverso il controllo monopolistico delle materie prime, delle fonti energetiche, dei mercati, delle rotte commerciali e delle comunicazioni è la causa fondamentale di tutti i conflitti armati attuali, in corso o in preparazione.

La Seconda Guerra Mondiale si concluse in Asia con un crimine di guerra atroce, commesso dagli Stati Uniti con i bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, del tutto inutili dal punto di vista militare. Gli USA restano l’unica potenza nucleare la cui dottrina militare prevede esplicitamente il bombardamento sistematico di obiettivi civili e la cosiddetta politica del “first strike” nucleare. Dal 1950 a oggi, gli Stati Uniti — da soli o insieme agli alleati della NATO o ad altre coalizioni imperialiste — sono intervenuti direttamente attaccando e talvolta invadendo 17 Stati sovrani, in alcuni casi occupandoli per anche vent’anni (Vietnam e Afghanistan). Le ingerenze sovversive negli affari interni di altri Stati sovrani, condotte da USA e NATO dal 1953 a oggi, hanno provocato colpi di Stato sanguinosi e cambi di regime in dieci Paesi, installando le peggiori dittature reazionarie e fasciste, dall’America Latina all’Africa, dall’Asia all’Ucraina e a Israele. Di recente, l’aggressione militare statunitense si è estesa all’Iran, allo Yemen e al Venezuela, ma la loro politica di prepotenza si esercita erga omnes, includendo minacce e ricatti anche nei confronti degli alleati. Nell’Europa orientale, dopo il fallimento del tentativo di colpo di Stato in Bielorussia, l’ingerenza sovversiva di UE e NATO si è spostata negli affari interni di Moldavia, Georgia e delle repubbliche dell’Asia centrale, aprendo la strada a pericolosi scenari sul modello ucraino.

Fondata nel 1949 con il pretesto di proteggere le “democrazie occidentali” da una minaccia sovietica inesistente, la NATO, paradossalmente, non intraprese alcuna missione operativa per tutta la durata della Guerra Fredda. Servì invece principalmente da deterrente contro possibili sviluppi rivoluzionari in Europa occidentale, attraverso strutture “Stay Behind” volte a contrastare i movimenti operai e comunisti. La prima missione operativa risale al 1990-1991, in appoggio all’Operazione Desert Storm contro l’Iraq, quando il processo di dissoluzione dell’URSS era già in corso. Da quel momento, la NATO — sopravvissuta alla scomparsa del suo presunto nemico, l’URSS e il Patto di Varsavia — gettò la maschera di alleanza difensiva e rivelò il suo vero ruolo offensivo di braccio armato del capitalismo euro-atlantico, operando su scala globale anche al di fuori dei limiti istituzionali fissati dal Trattato del Nord Atlantico, al fianco degli USA nelle loro operazioni militari di stampo banditesco.

Dalla dissoluzione dell’URSS, gli atti di aggressione contro Stati sovrani, colpevoli di non allinearsi ai piani imperialisti del blocco USA-UE-NATO, si sono intensificati rispetto al periodo precedente. Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia e Siria hanno tutti subito l’intervento imperialista euro-atlantico, con attacchi diretti che hanno lasciato dietro di sé morte e distruzione, disintegrazione dello Stato e della sovranità, guerre civili e terrorismo, economie devastate, miseria e instabilità foriere di nuovi futuri conflitti. Inoltre, l’obiettivo di “esportare i valori democratici occidentali” è stato mancato quasi ovunque, salvo in Jugoslavia, frammentata secondo i piani imperialisti dopo anni di guerre civili deliberatamente alimentate e utilizzate come pretesto per intervenire e bombardare obiettivi industriali e civili.

La guerra imperialista in Ucraina è il risultato plastico dell’inasprirsi della competizione tra potenze capitalistiche nel più ampio contesto della crisi generale del capitalismo. Dal crollo del potere sovietico nel 1991, l’Ucraina è divenuta terreno di scontro tra la borghesia statunitense, europea e filoccidentale da un lato, e quella russa e filorussa dall’altro, per il controllo delle risorse naturali, agricole e industriali del Paese. L’escalation armata è però il frutto dell’espansione di NATO e UE verso est e del loro piano di integrare l’Ucraina in entrambe le alleanze imperialiste, trasformandola in una punta di lancia ben armata contro la Russia, nonché delle ingerenze euro-atlantiche negli affari interni ucraini che condussero al colpo di Stato filoccidentale del 2014. Era noto e ovvio che tutto ciò sarebbe stato inaccettabile per la Russia capitalista. Gli USA, la NATO e l’UE, nel tentativo di preservare la supremazia globale del blocco euro-atlantico a guida statunitense, hanno provocato il conflitto armato con la Russia, mandando il popolo ucraino al macello nel quadro del loro confronto più ampio con le potenze capitalistiche emergenti — in primo luogo la Cina e gli altri Paesi dei BRICS — rendendosi così responsabili di un massacro che rischia di degenerare in uno scontro tra potenze nucleari.

L’UE si è allineata alla linea guerrafondaia e antirussa dell’amministrazione Biden, in virtù dei forti legami di interdipendenza tra le due sponde dell’Atlantico stabiliti fin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Tale scelta è stata dettata dagli interessi sostanziali che i settori dominanti del capitale europeo hanno nel mercato statunitense, sia in termini commerciali che finanziari, oltre che dal fatto che, storicamente, il capitalismo europeo ha delegato agli USA, tramite la NATO, la protezione militare dei propri interessi economici. Questi stessi settori del capitale hanno coltivato il delirio di sconfiggere la Russia grazie alla potenza militare statunitense e di partecipare al saccheggio delle risorse naturali, agricole, industriali e umane dell’Ucraina e, in prospettiva, della stessa Russia, una volta sconfitta e smembrata. La dirigenza politica dell’UE, tanto incapace quanto reazionaria e guerrafondaia, lontana dai popoli e dalla realtà, preoccupata solo di perpetuare il proprio potere, ha puntato su queste folli fantasie e ha clamorosamente perso — non solo la guerra militare, ma anche quella economica, combattuta attraverso ben 19 pacchetti di sanzioni che, come un boomerang, stanno avendo gravi ripercussioni sulle già precarie economie dei Paesi dell’UE, aggravando ulteriormente le condizioni della classe operaia e dei popoli d’Europa.

La nuova amministrazione Trump ha tacitamente riconosciuto che il tentativo di sottomettere la Russia militarmente ed economicamente — utilizzando il regime fascista ucraino per continuare una guerra impossibile da vincere — è sostanzialmente fallito.

Ciò detto, l’amministrazione repubblicana non ha abbandonato l’obiettivo strategico di lungo periodo di indebolire la Russia.

Chi vede in Trump un “uomo di pace” si sbaglia. Per gli Stati Uniti in crisi, la priorità assoluta è contrastare la Cina, che ne minaccia la posizione di prima potenza capitalistica mondiale. Questo ha modificato l’approccio tattico degli USA verso la guerra in Ucraina e i rapporti con gli alleati europei. Gli Stati Uniti non sono interessati alla pace, ma al profitto derivante dalla guerra — scaricandone i costi sui propri alleati di NATO e UE. Per ammissione dello stesso Trump, gli USA traggono profitti enormi dalla vendita di armi, pagate dai Paesi della NATO e dell’UE sia per rifornire il regime fantoccio ucraino sia per ricostituire i propri arsenali svuotati. La posizione statunitense è stata chiaramente espressa dall’inviato speciale per l’Ucraina, Keith Kellogg, che ha invitato la NATO a “innalzare il livello di rischio” e a sfidare sempre più apertamente la Russia, sostenendo che le minacce di Putin sarebbero soltanto vuote e non seguite dai fatti.

Contributo del Fronte Comunista alla riunione dell’Azione Comunista Europea del 28 settembre 2025

L’atteggiamento guerrafondaio e antirusso della dirigenza UE e della maggioranza dei governi europei, allineati sulla prosecuzione della guerra a ogni costo, rivela la consapevolezza che qualsiasi accordo diretto tra Russia e Stati Uniti per porre fine al conflitto ucraino marginalizzerebbe l’UE, lasciando ai suoi monopoli solo le briciole del mercato, delle risorse e del business della ricostruzione postbellica su cui l’UE aveva coltivato grandi illusioni. In nome di questo miraggio, l’Unione Europea si è avvitata in una spirale di sanzioni che incidono poco sull’economia russa, ma aggravano la stagflazione nei Paesi membri, rischiando di spingerli in recessione. Inoltre, le proposte banditesche di confiscare i beni russi congelati presso istituzioni finanziarie europee e statunitensi — pari a circa la metà delle riserve valutarie totali della Russia — per destinarli agli aiuti militari al regime fascista di Kiev, oltre a essere illegali, stanno inducendo numerosi Stati a trasferire una parte consistente delle proprie riserve valutarie verso Paesi ritenuti più “sicuri”, come Emirati Arabi Uniti, Hong Kong, Singapore e Cina.

Per alimentare ulteriormente la macchina da guerra euro-atlantica, la Commissione Europea ha approvato il piano Rearm EU, ribattezzato Readiness EU, che si aggiunge all’impegno di tutti i Paesi membri della NATO, ad eccezione della Spagna, di aumentare il contributo all’alleanza fino al 5% del PIL. Nelle trattative sui dazi all’importazione, gestite nella consueta maniera demente da Von der Leyen e dal suo staff, gli Stati Uniti sono riusciti a ottenere dall’UE l’impegno che una quota significativa degli 800 miliardi di euro destinati al piano di riarmo sarà spesa per l’acquisto di armi statunitensi. Questo piano di riarmo senza precedenti sarà finanziato in deficit, in parte tramite l’emissione di Eurobond e in parte con contributi dei bilanci nazionali, nonostante il Patto di stabilità. Ciò comporterà inevitabilmente nuovi e pesanti tagli alla spesa pubblica per la previdenza sociale, il welfare, i servizi essenziali, la sanità, l’istruzione, la cultura e l’edilizia popolare — capitoli di spesa per i quali non sono previste deroghe ai vincoli imposti dal Patto di stabilità.

Sul piano della guerra economica, gli USA stanno esercitando pressioni sull’UE affinché anticipi l’embargo totale sugli idrocarburi russi e imponga dazi pesanti sui prodotti provenienti da Cina e India finché continueranno a importare petrolio e gas dalla Russia. L’obiettivo non è porre fine alla guerra in Ucraina, ma consolidare e ampliare la quota di mercato del petrolio e del gas naturale liquefatto statunitensi in Europa. Von der Leyen ha ceduto anche a questa richiesta, impegnando l’UE ad aumentare le importazioni di idrocarburi dagli USA, nonostante i prezzi fino a cinque volte superiori a quelli praticati dalla Russia. Le conseguenze inflazionistiche sui prezzi dell’energia, dei trasporti e dei beni in generale sono facilmente prevedibili.

Ciò comprimerà ulteriormente la domanda interna, ridurrà la competitività delle esportazioni a causa dell’aumento dei prezzi interni, con effetti negativi su produzione e occupazione, e con la prospettiva che la stagnazione degeneri in recessione. In sintesi, questo è l’effetto principale previsto della guerra economica condotta contro la Russia tramite le sanzioni. Data l’attuale correlazione di forze tra capitale e lavoro salariato, è prevedibile che il recupero di competitività venga perseguito dai capitalisti congelando i salari, e dagli Stati attraverso nuovi tagli alla spesa sociale, peggioramenti delle pensioni e maggior pressione fiscale. In sostanza, per ottenere il sostegno statunitense alla prosecuzione della guerra contro la Russia, l’UE e la Gran Bretagna sono pronte a far pagare qualsiasi prezzo ai propri popoli per soddisfare le richieste dell’alleato americano.

L’economia di guerra che UE e NATO cercano di imporci con i loro piani di riarmo folli comporta un deterioramento radicale delle condizioni di vita e di lavoro del proletariato e delle masse popolari. Inoltre, aumenta la probabilità che esse vengano gettate come carne da cannone sui campi di battaglia di guerre sempre più frequenti, che non sono “scontri di civiltà” né conflitti “tra democrazie e dittature”, ma guerre imperialiste per il dominio e il profitto di una manciata di capitalisti. La complicità vergognosa di USA, UE e NATO con lo Stato israeliano criminale e fascista nel genocidio del popolo palestinese è anch’essa motivata dalle prospettive di profitto legate allo sfruttamento delle risorse della zona economica esclusiva palestinese nelle acque della Striscia di Gaza e al controllo dei gasdotti progettati come alternative alle rotte navali del Golfo, del Mar Rosso e del Canale di Suez.

L’economia di guerra comporta anche restrizioni delle libertà politiche e dei diritti sindacali, già in atto.

La censura delle notizie sgradite, la disinformazione che distorce o inventa i fatti e la falsificazione della storia contemporanea sono il risultato della concentrazione del capitale nelle mani di pochi gruppi dominanti nel settore dell’informazione. Minando il diritto all’informazione, la classe dominante del blocco euro-atlantico mira a inculcare nell’opinione pubblica l’idea della necessità e della giustezza della guerra contro la Russia, presentata come il male assoluto, e a normalizzare il sangue e la violenza per preparare psicologicamente le masse alla guerra. Se questo non basta a garantire l’obbedienza sociale, la classe dominante ricorre alla repressione poliziesca e alla persecuzione giudiziaria, criminalizzando la protesta, il dissenso e soprattutto la lotta di classe. Lottare per la pace contro la guerra imperialista è divenuto un crimine che i governi borghesi degli Stati membri di UE e NATO perseguono con estremo rigore, utilizzando qualsiasi pretesto.

Noi comunisti dobbiamo combattere con tutte le nostre forze e con ogni mezzo per contrastare questi processi e fermare la macchina da guerra dell’UE e della NATO. Di fronte a tali sviluppi, i comunisti devono promuovere e mobilitare un ampio movimento popolare, con la classe operaia al centro, capace di opporsi con determinazione ai piani imperialisti euro-atlantici e di rinnovare con nuova energia la lotta per la pace. Un movimento che i comunisti devono saper dirigere in senso anticapitalista, diffondendo la consapevolezza che la guerra è insita nella natura del capitalismo e che una pace giusta e duratura può essere raggiunta solo abbattendolo. Un movimento che combatta con coraggio contro il coinvolgimento dei nostri Paesi nelle guerre del capitale, contro l’instaurazione di un regime di economia di guerra, per l’uscita dei nostri Paesi da UE e NATO e da ogni altra organizzazione imperialista.

In Italia, come in molti altri Paesi, in solidarietà con l’eroica resistenza del popolo palestinese e contro il genocidio in corso a Gaza, si sono tenute numerose manifestazioni di massa, che i comunisti hanno promosso o contribuito in modo determinante a organizzare. Ora è necessario consolidare ed estendere questa ampia partecipazione popolare, trasformando l’emozione suscitata dall’orrore dei crimini israeliani contro l’umanità in un impegno cosciente di mobilitazione permanente contro ogni piano di guerra del blocco imperialista euro-atlantico, che è il nostro principale nemico e rappresenta la vera minaccia per il proletariato e i popoli dei nostri Paesi. Come insegnava Lenin, per sconfiggerlo dobbiamo saper sfruttare le contraddizioni tra Stati e blocchi imperialisti e lavorare attivamente per la sconfitta politica e militare, in primo luogo, dell’imperialismo e della borghesia dei nostri stessi Paesi.

Anche le forme della lotta sono decisive. Le manifestazioni, per quanto di massa, non bastano da sole: restano momenti di testimonianza che incidono sul corso degli eventi solo se arrecano danni materiali alla classe dominante o, nei nostri sistemi politici, minacciano il loro consenso elettorale. Il ruolo della classe operaia nella lotta contro la guerra imperialista è fondamentale e assolutamente indispensabile, poiché essa ha la capacità concreta di fermare la produzione e la logistica di guerra. L’esperienza dei lavoratori portuali italiani ed europei, che bloccano i carichi di armi diretti in Israele o in Ucraina, deve essere estesa e generalizzata. Gli scioperi di due o quattro ore non bastano. Servono scioperi che infliggano gravi danni agli interessi del capitale, fino a paralizzare l’intero Paese. In tal senso, riteniamo che i partiti comunisti e operai che fanno parte dell’Azione Comunista Europea possano e debbano svolgere un ruolo di stimolo verso i sindacati dei rispettivi Paesi, promuovendo il coordinamento temporale e territoriale delle mobilitazioni dei lavoratori contro la guerra, in collaborazione con il Consiglio Mondiale della Pace. Senza dimenticare la necessità di iniziative autonome e coordinate dell’Azione Comunista Europea e dei suoi partiti membri, eventualmente organizzate simultaneamente in tutti i nostri Paesi. È un percorso arduo e rischioso, perché dovremo affrontare intimidazioni e repressione, ma è nostro dovere intraprenderlo per bloccare i piani imperialisti attraverso una potente resistenza operaia e popolare.

BOICOTTIAMO IL RIARMO E LA GUERRA IMPERIALISTA!

FUORI DALLA NATO E DALL’UNIONE EUROPEA!

PACE TRA GLI OPPRESSI, GUERRA AGLI OPPRESSORI!

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