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Si è rotto un argine. Ora ci serve organizzazione

Dichiarazione dell’Ufficio Politico del FC e della Segreteria nazionale del FGC sulla grande mobilitazione per la Palestina in Italia

di Fronte Comunista
20/10/2025
in Comunicati & Notizie
Home Comunicati & Notizie
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Un’infinità di gocce può cadere in un bicchiere senza conseguenze, ma una singola goccia, pur cadendo esattamente come le altre, alla fine ne fa tracimare il contenuto. In Italia nell’ultimo mese si è rotto un argine.

L’Italia è stata attraversata da enormi mobilitazioni popolari in sostegno del popolo palestinese e contro la complicità del governo italiano nel genocidio a Gaza. Il FC e il FGC sono stati parte attiva di questo movimento, con un forte investimento militante nelle mobilitazioni di tutto il corpo delle nostre organizzazioni. Ad oggi, mentre il governo italiano sostiene il progetto di trasformazione di Gaza in un protettorato degli USA e sono in corso i negoziati di tregua, le mobilitazioni stanno continuando.

1. Una mobilitazione radicale contro il governo complice del genocidio

Almeno due sono i grandi meriti di questo ciclo di mobilitazioni sul piano politico. Primo, l’aver espresso e mantenuto, anche nell’adesione spontanea di milioni di persone, una radicalità che va ben oltre le posizioni del cosiddetto “campo largo” del centro-sinistra. Questo movimento ha preso di mira direttamente il governo Meloni e la sua complicità nel genocidio di Gaza, non appiattendosi sul piano della solidarietà umanitaria, denunciando apertamente la condotta del governo e la cooperazione politica, economica e commerciale dell’Italia con Israele e rifiutando apertamente l’ipocrisia delle narrazioni mediatiche che chiedono la “condanna del terrorismo” come un prerequisito per parlare di Palestina e che bollano come tale la resistenza e le organizzazioni politico-militari palestinesi.

Anche grazie a questo movimento, c’è oggi un significativo spostamento a sinistra del baricentro di ciò che si può dire nelle piazze, in televisione e nel dibattito pubblico.

Questi elementi non potevano essere dati per scontato. Come è noto, questo ciclo di mobilitazioni è stato innescato da una combinazione di elementi. Innanzitutto, la Global Sumud Flotilla, iniziativa internazionale che ha ricevuto una notevole attenzione mediatica grazie alla copertura politica offerta dalle socialdemocrazie europee. Questa iniziativa internazionale è avvenuta in concomitanza con una dinamica politica tutta italiana, e cioè la discesa in campo del centro-sinistra in Italia, dopo due anni di colpevoli tentennamenti.

In questo contesto si è inserita la forza dell’appello alla lotta di classe lanciato dal Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali della città di Genova con la parola d’ordine “BLOCCHIAMO TUTTO” durante la grande manifestazione cittadina del 30 agosto, che ha visto l’adesione della sindaca di Genova Silvia Salis.

Questi due elementi hanno aperto una fase di mobilitazione nuova, con numeri e potenziale significativamente superiori ai mesi precedenti. L’appello del CALP ha innescato un effetto domino che ha portato al riuscitissimo sciopero generale del 22 settembre lanciato dall’USB, con piazze oceaniche in tutta Italia. A seguire, ci sono state la risposta popolare immediata all’attacco di Israele contro la Sumud Flotilla nella sera del 1° ottobre, con tre giornate consecutive di grandi manifestazioni, la riuscita dello sciopero generale del 3 ottobre, al quale la CGIL si è trovata costretta ad aderire per la pressione dei propri lavoratori, e la manifestazione nazionale del 4 ottobre, con più di un milione di persone in corteo a Roma.

2. Il peso della classe operaia e il carattere popolare della mobilitazione

In secondo luogo, non per importanza, va perciò sottolineato il peso della classe operaia e dei sindacati nella costruzione dello sciopero. Questo ciclo di mobilitazioni è nato attorno all’iniziativa, alle indicazioni e alle date di mobilitazione e di sciopero decise da organizzazioni sindacali e da settori della classe operaia combattivi. In questo frangente, la convocazione di giornate di sciopero generali ha superato la ritualità e ha imposto nel dibattito italiano la concretezza del blocco della produzione, della logistica, delle navi israeliane nei porti, etc. L’adesione allo sciopero, assolutamente straordinaria in alcuni settori, ha restituito la percezione dello sciopero dei lavoratori come arma credibile e necessaria. Nel contesto italiano di debolezza relativa del movimento operaio e sindacale, anche questo non era affatto un dato scontato, che va coltivato e rafforzato con tutti gli sforzi possibili.

Dall’altro lato, non bisogna tenere fuori dal quadro che le grandi mobilitazioni e lo sciopero hanno interessato principalmente le grandi città. Nell’Italia del divario Nord-Sud e in cui gran parte della popolazione vive al di fuori delle aree metropolitane, si ripropone con forza il tema della differenza tra città e provincia/campagna e dei differenziali di coscienza politica e di classe tra i diversi contesti.

In aggiunta a queste considerazioni, si può rilevare una componente generazionale significativa, con la presenza di centinaia di migliaia di giovani, che certifica un’inversione di tendenza nella partecipazione politica giovanile, che in parte veniva già suggerita dalla distribuzione del voto giovanile nelle recenti tornate elettorali.

3. La postura del governo Meloni contro le mobilitazioni

La difesa del governo israeliano da parte del governo Meloni ha assunto spesso la forma di riproduzione sistematica e acritica delle veline della propaganda sionista, arrivando senza troppi problemi alla negazione stessa del genocidio. Questo atteggiamento, insieme agli attacchi diretti alle manifestazioni, ha svolto sicuramente un ruolo nello spingere verso la disponibilità diretta alla mobilitazione un’ampia fascia di lavoratori e di gioventù che già esprimevano una crescente insofferenza o opposizione su un piano prettamente virtuale. È un aspetto da sottolineare e che conferma le valutazioni sullo spazio di lotta che si sarebbe aperto in questi anni di governo Meloni e ci dà la consapevolezza che le mobilitazioni, probabilmente, non avrebbero assunto questa dimensione di fronte ad un governo di centro-sinistra.

Il governo italiano si è trovato fortemente in difficoltà dinanzi a quelle che sono diventate le più grandi manifestazioni per la Palestina in Europa. Non a caso, ha mantenuto una postura fortemente aggressiva nei confronti degli scioperi e della mobilitazione, con dichiarazioni come quella sul “weekend lungo” o la retorica vittimista sul “clima di odio contro il governo”. L’autorità garante ha definito “illegittimo” lo sciopero del 3 ottobre. Lo Stato italiano non ha prestato assistenza ai cittadini italiani presenti sulla Global Sumud Flotilla e arrestati in Israele, che hanno denunciato trattamenti degradanti e torture. I media vicini al governo hanno cercato di occultare o distogliere l’attenzione dall’enorme partecipazione alle mobilitazioni, sostenendo le posizioni del governo e costruendo la narrazione di un crescente “clima di violenza”, incentrata attorno a episodi irrilevanti avvenuti in alcune città. In questo contesto, nei giorni successivi al 4 ottobre, è stata calendarizzata al Senato italiano la discussione di un disegno di legge “contro l’antisemitismo”, che ha il chiaro obiettivo di criminalizzare la mobilitazione per la Palestina equiparandola all’odio anti-ebraico.

4. La necessità di un riferimento politico organizzato

In questo contesto di forte contrapposizione con il governo italiano, ci sentiamo di affermare che il principale limite di questo movimento sta oggi nell’impossibilità per i larghi settori che sono entrati in mobilitazione di identificarsi in un chiaro riferimento politico organizzato, alternativo al “campo largo” e all’idea socialdemocratica dell’amministrazione “umana” del capitalismo.

È un dato di fatto che questo ciclo di mobilitazioni e la grande adesione spontanea di massa sono nati al di fuori del cosiddetto “campo largo” della socialdemocrazia in Italia, costituito oggi dall’alleanza tra il Partito Democratico (PD), il Movimento Cinque Stelle (M5S) e la Alleanza Verdi-Sinistra (AVS). Da mesi queste forze politiche cercano di presentarsi come “pro-pace” e come “amici” del popolo palestinese, per pure finalità elettorali e propagandistiche, con grandi contraddizioni rispetto alla loro condotta effettiva e alle loro posizioni reali. Ad oggi, tuttavia, non riescono ancora a presentarsi come il riferimento del movimento di solidarietà alla Palestina. La CGIL, la cui direzione ha rappresentato il punto debole del “campo largo”, nel non voler compiutamente portare sul terreno dello scontro interno l’attenzione generata dalla Global Sumud Flotilla e dalle iniziative ad essa connesse, si è trovata costretta ad inseguire il sindacalismo di base nella convocazione di uno sciopero, anche per la forte pressione interna da parte dei propri lavoratori iscritti, che hanno spinto per la mobilitazione dopo le batoste dei referendum sul lavoro dello scorso giugno e dello sciopero del 22 settembre.

Il “campo largo” tenta e tenterà di intestarsi elettoralmente il risultato delle piazze oceaniche di queste settimane. Allo stato attuale, non ci stanno ancora riuscendo. I media vicini al centro-sinistra cercano di fare la loro parte, con articoli stucchevoli sulle “rivoluzioni della gen Z”, con una narrazione idealistica totalmente artificiale che accomuna arbitrariamente fenomeni politici diversissimi.

Tuttavia, nonostante il centro-sinistra non abbia vita facile, siamo consapevoli che l’assenza di un partito comunista riconosciuto nella capacità di indirizzo del movimento operaio-popolare in Italia lascia inevitabilmente scoperto il terreno. Se questa situazione non cambia, l’unico sbocco che resta per una grande mobilitazione spontanea è di essere assorbita all’interno del sistema politico borghese.

5. Il dibattito sulla “rappresentanza” del movimento

In questi giorni, alcune riflessioni vengono proposte da più parti, con legittimi tentativi e proposte diverse su come dare una “rappresentanza politica” a questo movimento. Da un lato, alcuni settori propongono percorsi di “reti” e assemblee territoriali, con l’ambizione di presentarsi come i “referenti” del movimento, o del “brand” della Flotilla. Altri, come Potere al Popolo, lanciano assemblee più prettamente “politiche”, con l’obiettivo esplicito di rilanciare aggregazioni politico-elettorali, anche in vista delle elezioni politiche del 2027.

In relazione a tutte queste proposte, vogliamo evidenziare tre problemi fondamentali.

Il primo, è che non si può costruire a posteriori ciò che, purtroppo, non si è fatto in piazza, nel cuore stesso delle mobilitazioni, quando si aveva l’opportunità di farlo. Gli scioperi del 22 settembre e del 3 ottobre, così come la manifestazione del 4 ottobre, sarebbero stati una finestra straordinaria per sancire la nascita di nuovi rapporti di forza sul piano politico e sindacale, per affermare il protagonismo di un’area politica e affermarsi come riferimento politico di classe alle masse accorse in quella piazza, in un contesto dove il centro-sinistra non aveva né la legittimità né la direzione di quel movimento. Tutto questo non è stato fatto, e ancora oggi si rischia di “perdere il treno”.

In questo senso, queste giornate non hanno affatto “superato” o “spazzato via” i limiti decennali del movimento di classe in Italia, come alcuni hanno scritto. Tutto l’opposto: li hanno riconfermati tutti, uno per uno. Con le varie asimmetrie nel peso a livello locale delle varie organizzazioni politiche e sindacali, molto spesso le manifestazioni sono state gestite riproponendo pratiche e le concezioni movimentiste ormai stantie, con una postura minoritaria e priva di ambizione politica, nonostante i numeri in piazza imponessero un salto di qualità. Nessuna forza politica alternativa al campo largo è riuscita a proporsi come riferimento reale di quelle piazze. Nell’ubriacatura di ritrovarsi in manifestazioni di quella rilevanza numerica dopo tanto tempo, in pochissimi si sono posti il problema di dover parlare a quella maggioranza di partecipanti che era in piazza senza legami di organizzazione, o il problema delle forme delle manifestazioni, ad esempio di montare palchi e tenere comizi organizzati. Questo aspetto è stato largamente ignorato. Discussioni e confronti sul “cosa fare” rispetto a forme e percorsi dei cortei sono rimasti legati all’abitudine di dover cercare il modo di fare notizia, anche quando la notizia era già data dalla partecipazione di massa. Una potenzialità sprecata che, ancora, lascia libero uno spazio che in assenza d’altro sarà riconquistato dal centro-sinistra.

Il secondo problema è che non si può pensare che la rappresentanza e la sedimentazione di un movimento in una forma organizzata si possano esaurire nell’autoproclamazione, nei coordinamenti tra strutture militanti già esistenti, o nell’adozione artificiale di un “brand” come quello della Flotilla, sulla falsariga di ciò che alcuni hanno già tentato in passato con il Fridays for Future. I settori che avanzano proposte di questo tipo – più o meno dichiaratamente – sottovalutano o ignorano il fatto che l’ampia partecipazione di massa a movimenti come quello delle scorse settimane non è mediata e non dipende dal legame organico di queste masse con le strutture organizzate del mondo politico e sindacale. Non può prescindere dalle indicazioni delle organizzazioni politiche e sindacali, che portano la responsabilità di avanzare proposte che contribuiscano a mantenere in vita il movimento, ma rimane largamente non organizzata. Un coordinamento tra collettivi e strutture militanti può adottare il nome di un movimento di massa, ma l’esperienza di questi anni dimostra che questo non basta a determinare e rilanciare nuove mobilitazioni, che rispondono principalmente agli aspetti di battaglia politica e alla loro percezione diffusa.

6. L’urgenza della ricostruzione comunista

Il terzo problema, a nostro avviso, costituisce la vera questione di fondo, e continua a essere la questione del partito. Da anni, in Italia, esistono discussioni e tentativi di costruire una nuova forza politica “a sinistra” capace di superare la soglia dell’irrilevanza politica ed elettorale. In questo contesto, come è noto, il FC e il FGC sono impegnati da anni in una dura lotta politico-ideologica contro i settori che promuovono e ripropongono ciclicamente il tentativo di costruzione in Italia di una nuova socialdemocrazia nella forma della c.d. “sinistra radicale”, legata al Partito della Sinistra Europea e al gruppo europeo “The Left” (ai quali fanno riferimento, tra l’altro, sia AVS che i Cinque Stelle). A tutt’oggi la situazione appare ancor più paradossale di dieci anni fa, perché in campo ci sono diversi partiti (M5S, AVS, PAP, PRC) che si presentano in Italia come alternativi l’uno all’altro, mentre adottano gli stessi riferimenti internazionali.

Rispetto a questo tema, dinanzi al grande potenziale delle mobilitazioni delle scorse settimane che ha dimostrato la forza e le potenzialità della classe operaia in un paese importante come l’Italia, sentiamo di rilanciare con forza la prospettiva della costruzione in Italia di un partito comunista moderno, serio, credibile, organizzato per essere all’altezza delle sfide del XXI secolo. Un partito del genere è una conquista e un obiettivo irrinunciabile, per dare alle masse coscienza e organizzazione, e riaprire la prospettiva della lotta per la presa del potere politico dei lavoratori, per il socialismo. Se ci fosse oggi in Italia un partito di questo tipo, non solo i rapporti di forza nella società, ma anche solo gli sbocchi di un grande movimento popolare come quello di questi giorni sarebbero enormemente maggiori.

7. Gli sviluppi in Palestina e le prospettive della lotta in Italia

In ultimo, si pone oggi la questione di come dare continuità al grande movimento popolare di queste settimane.

La situazione in Palestina è in rapida evoluzione, ma appare già chiaro che tutte le ragioni della mobilitazione in Italia al fianco della lotta palestinese restano valide e attuali. Non cambia la condotta dell’Italia, che si è distinta come uno dei paesi più ferocemente schierati dalla parte di Israele e del governo di Netanyahu dopo gli USA e oggi sostiene apertamente il piano di Trump. Gli accordi economici e militari non sono stati rescissi, l’Italia rimane il terzo fornitore di armi ad Israele e continua la compravendita di armi e tecnologie militari. In occasione della partita di qualificazione al Mondiale Italia-Israele del 14 ottobre è stato dato ampio mandato al Mossad per operare a Udine di fronte alla manifestazione che contestava lo svolgimento della partita. L’ENI non ha messo in discussione l’interesse nell’ottenere da Israele lo sfruttamento delle risorse energetiche nelle acque territoriali palestinesi al largo di Gaza. La Presidente del Consiglio Meloni ha voluto partecipare in prima persona alle trattative a Sharm El-Sheik, con contestuale umiliazione da parte di Trump, rappresentando perfettamente il livello a cui il governo italiano si sta spendendo per assicurare ai costruttori italiani una fetta della torta nella spartizione della speculazione sulla “ricostruzione” di Gaza.

A partire dal peso di quest’ultima questione, quelli citati sono tutti elementi per cui bisogna continuare a lottare e su cui continuare ad investire le energie necessarie in termini di agitazione, anche in relazione a quei settori maggiormente mossi dalla pura dimensione umanitaria del genocidio, che corrono il rischio di smobilitarsi di fronte ad una propaganda mistificatoria sulle trattative in corso. Si tratta già di un terreno di potenziale aggregazione e organizzazione di quanti stanno rimanendo consapevoli di tutto questo.

Una tregua fragile, già violata da nuove stragi israeliane, fa oggi da sfondo a una proposta di “accordo” in cui restano in piedi tutti i presupposti che sono alla vera origine del 7 ottobre e di ciò che è susseguito, mentre si garantisce l’impunità a Israele dopo due anni di genocidio. Il blocco criminale della striscia di Gaza resta in piedi e non viene messo in discussione, mentre gli USA e i paesi UE e NATO sostengono apertamente la trasformazione della striscia di Gaza in un protettorato statunitense, con piena garanzia degli interessi dei monopoli dell’energia e della speculazione immobiliare. Non si mette in discussione l’occupazione illegale della Cisgiordania, mentre Israele mantiene in carcere importanti leader palestinesi come Ahmad Sa’adat o Marwan Barghouthi, con il preciso intento di porre il maggior numero possibile di ostacoli alla nascita di uno Stato palestinese.

Ciò che oggi viene “offerto” ai palestinesi dall’imperialismo è infinitamente meno di ciò che sarebbe il minimo ristabilimento della cosiddetta “legalità internazionale”, e cioè il ritiro di Israele nei confini riconosciuti dalle Nazioni Unite, con la nascita e il riconoscimento effettivo di uno Stato palestinese indipendente e sovrano nei confini del 1967, con Gerusalemme Est come capitale. Siamo ben consapevoli che anche in questo scenario resterebbero aperte tante questioni, a partire da quella dell’effettiva possibilità del diritto al ritorno dei profughi palestinesi. Ciò nonostante, è opportuno e necessario evidenziare l’ipocrisia degli USA e dell’UE, che parlano di “due popoli, due Stati” mentre continuano ad accettare che Israele impedisca la nascita di uno Stato palestinese, sapendo bene che la sua assenza e il suo mancato riconoscimento legittima e rafforza ogni giorno l’occupazione e la colonizzazione dei territori. Le ragioni della lotta dei palestinesi restano tutte sul tavolo, incluse quelle della resistenza armata, che è un diritto inalienabile dei popoli vittima di un’occupazione.

8. Dare slancio alla mobilitazione contro il governo FDI-Lega-FI e la legge di bilancio

Nel frattempo, in Italia, il Documento Programmatico di Finanza Pubblica varato dal Consiglio dei ministri anticipa i lineamenti fondamentali di una legge di bilancio 2026 che sarà imperniata attorno all’austerità e al riarmo, con una serie di misure spot dall’impatto minimo adottate per coprire il combinato disposto tra i vincoli del Patto di Stabilità e l’incremento vertiginoso delle spese militari per rispettare gli impegni assunti con la NATO e con il piano ReArm Europe dell’UE, con il passaggio dagli attuali 35 miliardi di spesa annuale ai 130 previsti nel 2035.

Una prima data con cui bisogna misurarsi è la manifestazione nazionale lanciata dalla CGIL per sabato 25 ottobre a Roma. La CGIL la pone come centro della propria iniziativa di opposizione alla manovra, rilanciando anche la contestuale solidarietà alla causa palestinese, mancando ancora una volta però nel dare un’indicazione chiara rispetto alla prospettiva di un nuovo sciopero generale. I limiti di questa iniziativa sono intrinsecamente legati agli sforzi del centro-sinistra di intercettare il movimento popolare di queste settimane e di incanalarlo nel sostegno all’opposizione parlamentare oggi esistente. Tuttavia, dobbiamo anche essere consapevoli che un’ampia mobilitazione di massa in quella giornata può essere riconosciuta come un fatto politico e un momento di partecipazione che può potenzialmente dare benzina al grande movimento popolare delle scorse settimane e raccogliere l’adesione di settori molto più ampi di quelli tradizionalmente mobilitati da una chiamata dei vertici della CGIL.

La vera sfida, tuttavia, resta quella di rilanciare, nei prossimi mesi, lo sciopero generale contro il governo e la legge di bilancio, contro i piani di riarmo, contro la guerra imperialista e la persistente complicità dell’Italia nell’oppressione dei palestinesi, incanalando il più possibile la grande mobilitazione di massa sul terreno della lotta politica generale. Non si tratta di una prospettiva astratta, ma al contrario di un processo in cui già è impegnata l’USB e verso cui si può raggruppare la partecipazione del sindacalismo di base e conflittuale.

In questo contesto, riteniamo che le forze del movimento di classe e i sindacati più combattivi abbiano la responsabilità di non abbandonare il terreno della manifestazione del 25 ottobre, ma di utilizzarlo per incalzare la CGIL e i lavoratori che si mobiliteranno con essa sul tema dello sciopero e della lotta al governo, facilitando anche la prosecuzione delle mobilitazioni verso un nuovo sciopero generale nelle settimane successive.

Esistono tante forme per fare questo, come la costruzione unitaria di un blocco politico-sindacale dalla forte caratterizzazione politica all’interno di quella manifestazione, oppure l’indizione di un concentramento alternativo per confluire in corteo nella manifestazione, con l’obiettivo di non separare i settori più avanzati della classe operaia da quelli organizzati all’interno del sindacalismo confederale “tradizionale”. Sulla base di ciò che effettivamente si produrrà nei prossimi giorni, il FC e il FGC valuteranno l’entità e la misura della partecipazione militante a quella manifestazione.

Oltre questo primo momento, il nostro impegno sarà completamente rivolto a dare il nostro contributo alla costruzione dello sciopero generale, con l’impegno militante di tutte le nostre compagne e i nostri compagni nei luoghi di lavoro, indipendentemente dall’adesione sindacale. Parteciperemo attivamente a tutti i momenti di confronto e assemblea che possano veicolare questa prospettiva come prossimo passaggio irrinunciabile per mantenere attivo e combattivo il movimento popolare che abbiamo visto nelle ultime settimane. In questa ottica, è fondamentale che non ci sia dispersione delle forze e che tutto il sindacalismo di base e conflittuale converga su un’unica data di sciopero, cercando di replicare le condizioni sindacali hanno portato allo sciopero del 3 ottobre, attorno alla corretta scelta in prima battuta da parte dell’USB sullo sciopero del 22 settembre e ad un giusto collegamento con le richieste e aspirazioni più combattive dei lavoratori della CGIL che a quello sciopero volevano aderire.

Nelle prossime settimane, l’indicazione che diamo è quella di tenere alto il più possibile il livello di agitazione politica in ogni città, luogo di lavoro, scuola, università. Parteciperemo attivamente alle mobilitazioni che continuano ad essere all’ordine del giorno in varie città. Manterremo costante l’impegno nell’indicare la prospettiva di un nuovo sciopero generale contro manovra, riarmo e complicità del governo nel genocidio come passaggio fondamentale e irrinunciabile per le mobilitazioni. Ci spenderemo per rafforzare il raggruppamento attorno alle giuste parole d’ordine nella lotta, che sono inevitabilmente inconciliabili con la prospettiva del “campo largo”. Daremo tutti i nostri sforzi per mantenere alta l’attenzione su quello che accade in Palestina, per essere in grado di trasmettere immediatamente gli impulsi di lotta necessari in Italia.

Ogni giorno, ogni settimana in più di mobilitazione produce passi avanti nella sedimentazione della forza che spazzerà via il vecchio mondo.

Si è rotto un argine. Ma serve costruire la forza che può organizzare e dirigere il fiume in piena.

«Non c’è vittoria, non c’è conquista, senza un grande partito comunista».

—

Ufficio Politico del CC del Fronte Comunista (FC)

Segreteria nazionale del Fronte della Gioventù Comunista (FGC)

Tag: Gazagoverno MelonilottaPalestina

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